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L’ideatore della teoria dell’impotenza appresa è stato Martin Seligman che nel 1976 fu premiato con l’“Early Career Award” dall’American Psychological Association per i risultati scientifici ottenuti nei primi dieci anni della sua carriera e specialmente per l’elaborazione di questa teoria.
Partendo da studi sui roditori, estesi poi in ambito umano, Seligman rilevò come le persone che si trovano per lungo tempo in condizioni nelle quali ritengono di non potere in alcun modo avere un controllo per modificarle, tendono a sviluppare un senso di impotenza che si può anche ampliare oltre la situazione specifica nella quale l’hanno vissuta. Per esempio, sentirsi in impossibilità di ridurre i rumori fastidiosi a cui erano stati sottoposti, portava, in due terzi delle persone testate, all’incapacità di modificare in seguito anche l’intensità della luce, anche se in realtà esisteva la possibilità di agire sulle fonti di luce, e questo perché non si sentivano più in grado di modificare le condizioni nelle quail si trovavano.
Imparare che le proprie azioni sono inutili porta ad un’aspettativa di incapacità e inefficacia di modificare qualcosa, quindi ci si arrende con passività alle circostanze: questo è lo stato di impotenza appresa.
Seligman fece poi ulteriori esperimenti e suddivise gli stessi soggetti testati in due categorie: quella degli ottimisti e quella dei pessimisti nei quali si era manifestato il senso di impotenza. In questi ultimi ritrovò 3 caratteristiche alla base dei loro pensieri e sistemi di credenze:
1. la tendenza ad incolpare se stessi per le situazioni sfavorevoli;
2. il considerare queste condizioni durature nel tempo;
3. la convinzione che il loro comportamento inadeguato avrebbe potuto portarli, in futuro, verso ulteriori fallimenti.
Seligman rammenta che l’acquisizione del controllo da parte dell’individuo inizia sin dalla primissima infanzia e dipende dalla capacità della madre di rispecchiare e rispondere in modo adeguato alle azioni del suo bambino (sorride al suo sorriso, lo consola quando piange, lo alimenta quando ha fame ecc.) ed è proprio attraverso questa forma di reciprocità che il bambino impara ad acquisire il controllo delle situazioni. Si è visto che invece i bambini che vivono negli istituti ed orfanotrofi, se ricevono cibo e cure ma non ricevono affetto e non sono rispecchiati emotivamente, soffrono e possono andare incontro alla depressione e persino alla morte. In condizioni di difficoltà si manifesta ansia nella ricerca di controllare la situazione imprevedibile, ma se non si riesce ad avere questo controllo, subentra la passività, e il comportamento depresso che ne deriva troverà auto-alimentazione in se stesso.